La collaborazione tra consulenti, tra educatori e con gli insegnanti. Tutti ne parlano, ma a dire il vero, è già tanto se si comunica. COLLABORARE è un obiettivo ambizioso, che richiede altissima competenza.
Questa mattina ho avuto l’ennesima conferma di quanto sia estremamente complicato collaborare, in particolare tra professionisti e ancora di più se entrambi appartengono al privato sociale.
Così ho iniziato a riflettere, o meglio riflettere ancora una volta, su questa parola “collaborazione”, “collaborare”.La prima cosa che ho fatto è stata quella di cercare il significato della parola sul vocabolario. Collaborare significa “lavorare con”, “fare insieme ad altri”, significa “co-operare attivamente” al perseguimento di un fine comune.
Ecco! Ho capito non sarà che l’inghippo sta proprio in questo fine comune?
“Collaborare- cooperare”, quante volte noi professionisti dell’educazione usiamo questa parola quando parliamo ai colleghi, alle scuole, con i genitori?
Quante volte la usiamo e quante invece sappiano davvero renderla concreta “facendo insieme” a qualcun altro per un fine condiviso? Sono un’educatrice professionale mi occupo da sempre di chi ha bisogno di aiuto e non so mai dire con quale percentuale questo lavoro mi ha scelto o io ho scelto lui.
So per certo peró che molti principi e valori della mia vita entrano a far parte di questo lavoro, lo rendono tale e lo arricchiscono:
- rispetto per sé e per gli altri,
- conoscere e riconoscere i propri limiti e le proprie ed altrui competenze,
- riconoscere i propri bisogni e ascoltare quelli altrui,
- sapere di non essere gli “unici”, ma soprattutto
- sapere perché si sceglie di fare certe cose piuttosto che altre…
Insomma dobbiamo aver chiaro qual è lo scopo delle nostre azioni.
Credo che questi principi oltre a muovere il lavoro in educazione stiano alla base della collaborazione di cui questo lavoro è (dovrebbe essere) intriso.
Il mio lavoro con bambini e ragazzi con disturbi dello sviluppo è necessariamente un lavoro di collaborazione (evito di elencarvi i mille motivi che molti conosceranno a mena dito) con i genitori come singoli e come coppia, con i fratelli, i compagni di scuola, con le maestre, con i servizi pubblici e gli altri professionisti privati….Il mio compito è “camminare “con loro, co-costruire con loro percorsi di crescita allo scopo comune di favorire, sollecitare ed indurre l’apprendimento di competenze e abilità che possono rendere quel bambino e ragazzo sempre più autonomo e protagonista attivo della propria vita.
Se vogliamo davvero fare il bene del bambino, ci si “sporca le mani” tutti insieme (non ci si limita a stringerle per poi fare ognuno da solo) e ciascuno è disposto a conoscere, rispettare e valorizzare gli altri prima come persone e poi come professionisti, lasciando a ciascuno il proprio spazio.
Il fine del professionista dell’educazione non è primeggiare….iniziamo ad abbandonare i bisogni personalistici, ad accantonare i nostri eghi smisurati e il desidero di dimostrare di essere i più bravi…qui il fine è un altro. Vorrei che, come categoria, provassimo ad ascoltare e osservare davvero chi e cosa ci sta intorno: in particolare quelli di noi che hanno “studiato ABA”, magari ottenendo qualche forma di certificazione o “medaglia di riconoscimento”, hanno bisogno di ricordare di non essere gli unici a lavorare (per fortuna)! Ci sono tante valide realtà educative oltre alla nostra e tanti altri bravi professionisti, non perdiamo di vista l’obiettivo del nostro lavoro, non perdiamo l’occasione di crescere anche noi ed imparare all’interno dei percorsi di collaborazione che il nostro lavoro richiede.
È una riflessione e un monito prima di tutto a me stessa, che voglio condividere con gli Errepiù.
Emi Visani